non come i polinesiani

900 e qualcosa anni fa i marinai polinesiani – che non sapevano di essere esploratori, prima ancora che navigatori – percorrevano lunghissime – e non sapevano nemmeno quanto fossero lunghissime – distanze in canoa, a volte morendo di sventura o stenti, altre spedendo per autostrada genetica ai propri discendenti i frutti casuali e esperienziali dei viaggi che avevano avuto la fortuna di raccontare.

Tu dici hai già una terra, è la tua, forse soffri per nutrirti ma in fondo ti sei adattato con la dignità atavica che si confà agli uomini dell’epoca: ai bisogni di base devono corrispondere soluzioni altrettanto basilari ed efficaci, è la piramide di Maslow su cui si basa la tua intera sopravvivenza anche se le piramidi in effetti non le hai mai viste, non sai proprio che esistano e comunque non potresti mai raggiungerle con un’imbarcazione senza motore (il motore verrà inventato 800 e qualcosa anni più tardi).

Dicevamo: sei un polinesiano, hai la tua piramide, che non è una piramide ma più un’ellissi dai contorni irregolari, forse un atollo impervio, forse una lingua di terra affacciata su uno specchio d’acqua abbacinante di giorno, di notte una distesa di pece infinita all’occhio umano cioè il tuo.

Non sai di essere un umano ma sai cosa l’umano che non sai di essere può: l’umano può sentire.

E all’umano la terra non basta, vuole il mare.

Allora, senza alcun tipo di strumentazione – strumentazione che conoscerai 900 anni dopo – tu, piccolo umano polinesiano, apprendi presto a stenderti (il corpo supino, i sensi spalancati) su una canoa costruita con mezzi di fortuna: tronchi divelti dalla burrasca e poi levigati in bonaccia dalle maree, pezzi di legno incastrati in modo che la gravità dell’acqua, quando entra, non li affondi (non conosci ancora il concetto di gravità, ma conosci l’azione della gravità sulle cose che tocchi). Vedi i punti luminosi sopra di te – forse sai già che sono stelle senza sapere di cosa sono fatte le stelle? meglio così – e senti l’incresparsi dell’acqua intorno, il suo diverso modularsi a seconda degli ostacoli che attraversa e supera. Quando ti spingono al largo impari presto a riconoscere la differenza delle increspature. Quella violenta, in mare aperto; la morbida, quando ti avvicini alla baia. Non ti serve leggerlo, lo senti e quindi lo sai: è la ricorsività della natura a marchiarti, e guardando i marchi sai cosa fare. Sempre. Alla fine tu o un tuo parente arrivate alle Fiji.

Campioni del mondo, senza ancora mondiali di calcio.

È sempre affascinante raccontare queste storielle di tribù lontane nel tempo che a un certo punto della storia per una combinazione di fato e incoscienza imparano a fare qualcosa che tu vorresti poter calare sulla tua vita forzando la metafora e pure la storia. A volte potresti sentirti un polinesiano, persino. E invece non lo sei: i tuoi confini sono regolari, spesso tracciati con una squadra, i bisogni che ti pungolano non sono mai primari, secoli e privilegi di distanza fanno di te un essere umano troppo umano che ha perso i sensi. Quando ti stendi su una barca ricordi il privilegio e guardi le stelle con un malcelato senso di colpa, intravedi la galassia materiale e pericolosa in cui sei immerso, scopri a 33 anni e qualcosa che le cicale smettono di cantare alle 21 mentre tu non smetti di rompere il cazzo mai – sei peggio dei grilli che fanno il controcanto ribelle e stonato alle 21:30 – confondi gli avvicinamenti per arrembaggi pirati e le increspature generate dagli atolli per burrasche da cui metterti in salvo. Scappi a riva, ma non è la riva giusta.

Ti sei sempre sentito un polinesiano superstite e scopri nel 2023 che sei solo una testa di cazzo che accoglie a bordo i pirati e si allontana a remi dagli atolli.

Rimettiti sulla canoa e continua a fissare le stelle con gli occhi feriti a morte fino a che non faranno più male e non sarà la morte.

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