breve riflessione naïf sulle auto a noleggio in Portogallo e sui monaci tibetani in Cina
Stamattina dovevo prenotare una macchina a Lisbona. Dopo dieci minuti scarsi – mi serve da domani – di comparazione tra proposte di rental cars vari arrivo a un carrozzone ibrido con chilometraggio illimitato e copertura incidenti compresa. Prezzo totale: 13, 31 euro, più una decina per i costi accessori.

Poco più di 5 euro al giorno per noleggiare un’auto che in Italia, sempre al giorno, ne costerebbe almeno 50.
Confermo un piccolo personale pregiudizio, e cioè che tra i primi indicatori del grado di civiltà di un Paese, al netto del costo casa che ormai è piaga occidentale diffusa e virulenta, ci siano: 1) il prezzo per il noleggio di un’auto (a basse emissioni); 2) la quantità di droghe legalizzate (in questo caso tutte).
Il Portogallo ha depenalizzato possesso e consumo di tutte le sostanze stupefacenti, dalla cannabis all’eroina, 23 – ventitré – anni fa.
Nel 2001 l’1% della popolazione portoghese era dipendente da eroina, sostanza che da sola causava una media di 80 morti l’anno. Nel 2011, a dieci anni dalla riforma pionieristica sulle droghe, i morti per overdose da oppiacei sono scesi a 11.
Ventitré anni di uso combinato di regolamentazione legislativa e informazione non stigmatizzante hanno reso il Portogallo uno dei Paesi europei col più basso indice di consumo giovanile e il più basso tasso di mortalità droga-correlata.
La Storia non ci insegna quasi mai la vita ma l’interpretazione dei dati può aiutarci a comprenderla: l’esempio portoghese ci racconta che accettare e normare una realtà esistente, anziché reprimerla, nel medio periodo aiuta la salute pubblica, alleggerisce le carceri, responsabilizza e libera i cittadini.
Alle 9 e 20 una cara amica mi manda questa foto da Saigon, Vietnam.

Secondo quanto riferito da Radio Free Asia, giovedì scorso le autorità cinesi hanno arrestato, dopo aver picchiato e ferito, oltre 100 monaci che protestavano contro il progetto di una diga in una prefettura autonoma tibetana nella regione del Sichuan, a Dege, in Cina.
Dege significa letteralmente “Terra della Pietà” ed è uno dei centri più importanti della cultura tibetana; la costruzione della centrale idroelettrica annessa alla diga spazzerebbe via sei monasteri e due villaggi.
Dalle fonti, rimaste anonime per motivi di sicurezza, apprendiamo che i monaci trattenuti sarebbero stati distribuiti in istituti sparsi nella contea di Dege, costretti a portare con sé biancheria da letto e tsampa, un impasto di orzo, spezie e sale molto diffuso tra sherpa e nomadi perché comodo da preparare e facile da conservare.
La nonviolenza radicata nella resistenza dei monaci buddisti pare contraddirsi nella prassi talvolta utilizzata negli ultimi decenni (l’autocombustione dei monaci-torcia), e sembra farci dimenticare quanta forza, estetica e politica, ci sia invece nel grido di disperazione di un popolo oppresso e perseguitato.
A Saigon, l’11 giugno del ’63, il primo monaco-torcia scende da un’auto, si siede a terra nella posizione del loto e si fa versare addosso da un confratello una tanica di benzina. Thich Quang Duc brucia, in mezzo alla strada, per protestare contro l’allora presidente cattolico del Vietnam del Sud Ngo Dinh Diem che negava libertà di culto alla maggioranza buddista.

In un mondo che ha progressivamente rimosso dalla vita dell’uomo Dio e Droga – strizzando un occhio o chiudendone due davanti alle sostanze eccitanti e alle divinità brutali-, la lotta per la Democrazia passa anche dalla difesa dei drogati e dei mistici.
E questa non è un’apologia di Dio o un incentivo al consumo di sostanze psicoattive, figuriamoci (soprattutto per quanto riguarda Dio).
È solo un piccolo e personale pensiero sugli archetipi umani che vivono e si concretizzano nei margini, negli spazi porosi ai bordi della società e lì affinano le forme di lotta. Questi uomini arrestati, soppressi, ammazzati. Questi fiori di loto umani che bruciano nella notte, finalmente liberi.
Questi pazzi in culo che, tramite i propri corpi scarnificati e infiammati, difendono la libertà dei popoli e il diritto alla trascendenza sono l’ultimo vero baluardo di resistenza nonviolenta alla violenza dei poteri contemporanei.